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BIG!

30 Set

BIG!

Che cos’è la pesca?

Perché ci sono persone che spendono denaro, tempo ed energie per catturare un pesce che poi libereranno? Lo fanno solo per fare una foto o un filmato?

No, la pesca è una questione chimica, è un mediatore che si chiama adrenalina, che ti fa battere nuovamente il cuore, anche se da tempo questo non aveva più slanci, che ti fa scordare dolori fisici e morali, che ti ridesta l’attenzione e il pensiero, che ti fa concludere che tutto ciò che hai fatto o speso valeva la pena di essere fatto e speso, costi quel che costi in termine di denaro, di dolore alle braccia, alla schiena, all’addome, di ore di sonno perse.

È una cosa, quindi, che ti fa sentire vivo! E non si creda che questo sia una cosa da poco.

Toni si era ripreso, ripreso dal malore della montagna, dal male di vivere (anche in questo caso grazie all’adrenalina), e gli era ritornata la voglia di godere quanto, poco o tanto che fosse, restava della sua esistenza che, giocoforza, si accorciava anno dopo anno.

Gli era, ovviamente, tornata, grazie anche a quella piccola carpa, la prima della sua seconda vita, la voglia di pescare, di cimentarsi e di cercare di conoscere i propri limiti e, magari, di andare oltre questi.

Un giorno aveva visto, dal suo amico giornalaio, una rivista specializzata nella pesca alla carpa con annesso un DVD e l’aveva subito acquistata.

Gli articoli trattavano di una forma di particolare di pesca alla carpa, detta “carp-fishing”, che Toni conosceva solo per sentito dire, ma che mai aveva praticato o visto praticare.

Sia le foto dei servizi, che il filmato del DVD, ritraevano pesci enormi, grandi quanto e più di un bambino, animali che partivano da oltre venti chili fino ad arrivare al record del mondo per una carpa: 38,150 kg!

Anche se Toni era guarito, capì che quella sarebbe stata la medicina definitiva.

Però…

Però i pescatori delle foto e del film erano matti come cavalli: gente disposta a passare giorni e notti consecutivi (endurance, si chiama) in riva ad un fiume, ad una cava, ad un lago per, magari, una sola cattura, ma che cattura!

Non solo: questi erano muniti di canne e mulinelli appositi, di segnalatori acustici e luminosi di abboccate con trasmettitori verso una unità senza fili; addirittura possedevano barchini ultra leggeri per il recupero delle prede, muniti di ecoscandaglio che segnalava i fondali più adatti a quel tipo di pesca.

E poi tende, brandine, fornelli da campeggio, materassini e sacche apposite per trattare con cura le prede e rilasciarle così in perfetto stato di salute e, da ultimo, pasturavano con chili, talora decine di chili, di appositi impasti.

Il tutto richiedeva o uno sponsor, oppure essere benestanti, e Toni non era il secondo e non aveva i primi.

Era deluso, perché dopo quanto aveva visto, mai più lo avrebbero soddisfatto le prede di tre, quattro, cinque chili del suo laghetto: a questo punto, neppure la sua storica avversaria, forse, gli avrebbe dato soddisfazione.

Oltretutto i luoghi delle spettacolari catture dei servizi fotografici erano segreti e non in ogni corso d’acqua o stagno ci sono tali mostri.

Allora, però, Toni ricordò un amico di tanti anni prima…

L’uomo era un anziano pescatore con il quale Toni era spesso andato su fiumi e laghi, uno che riusciva sempre a portarlo in luoghi o in momenti dove non catturavano mai alcunché.

Però stava bene con lui: mai uno screzio, si divertivano, parlavano, ridevano, si raccontavano le loro avventure di pesca e le loro vicende personali; magari anche qualche barzelletta.

Ora l’uomo non c’era più: già allora era molto anziano e, dunque, se n’era andato da tempo.

Fra le altre cose, il vecchio una volta gli aveva raccontato che un tempo aveva posseduto una piccola casa in Sardegna, un po’ nell’interno.

Ovviamente appena arrivato nell’isola , aveva cercato un posto per pescare: c’era solo l’imbarazzo della scelta, visto che i sardi non amano il pesce d’acqua dolce e, quindi, non lo pescano.

Si era trovato il punto adatto e, già dalla prima volta, aveva catturato diverse carpe, tutte oltre i due chili, al punto che non entravano nel cestino di metallo, di quelli che usavano un tempo.

Così le aveva legate ad una corda in acqua, salvo, poi, vederle fuggire in fila indiana, ancora legate!

Ma si rifece quello stesso giorno e i successivi, catturando ogni volta dai trenta ai cinquanta chili di pesci.

Erano tempi in cui non c’era la cultura del rilascio delle prede, per cui lui riforniva quotidianamente ospizi, asili e perfino un carcere dove, a momenti, lo arrestavano guardando con sospetto la sua donazione!

Successe un giorno che rimase insabbiato sulla riva con la macchina e fu costretto a farsi trainare da un passante col quale chiacchierò poi amabilmente di pesca.

Questi gli rivelò che lavorava alla diga sul fiume, dove c’era una centrale idroelettrica e che, se si fosse presentato là chiedendo di lui, l’avrebbe fatto pescare nel bacino artificiale: “Però passi prima in paese e cambi tutta la sua attrezzatura, perché alla diga ci sono carpe da trenta chili e oltre!”, concluse.

Il vecchio amico di Toni ringraziò, ma non ebbe mai il coraggio di cimentarsi in quella pesca estrema.

Ora Toni pensò che, forse, avrebbe potuto trovare una via di mezzo fra la pesca iper-attrezzata e tecnologica che aveva ammirato nel film e quella più naif che praticava lui, il tutto con un sacrificio economico, sì, ma senza esagerazioni.

Si munì, quindi di una canna nuova, di quel tipo speciale che serviva per le “big”, di un mulinello capace di contenere centinaia di metri di filo o di apposita treccia, di un guadino che più che da carpa pareva da tonni e di alcune buste di mangimi e pasture non troppo care.

Organizzò, così, una settimana di vacanza in Sardegna all’inizio delle sue ferie estive e partì.

Trovò il luogo, parlò e si fece amico di diversi locali (e i sardi sanno essere tanto generosi ed amici quanto sono chiusi di carattere).

Riuscì così a procurarsi i permessi per pescare alla centrale idroelettrica e un pomeriggio partì.

Avrebbe preparato ogni cosa fino all’imbrunire e avrebbe iniziato a pescare di notte e fino a tutta la mattina seguente.

Pasturò con un misero chilo e mezzo di impasto aromatico, mise la canna su un normale reggicanne, legandola per sicurezza e, al posto del segnalatore sonoro o luminoso, si affidò ad un vecchio campanellino da pochi centesimi: di più non poteva fare e non riteneva giusto fare.

Lanciò la pastura un po’ a caso, visto che non aveva un ecoscandaglio, fidandosi del fiuto e dell’esperienza; poi innescò e lanciò la sua lenza, pieno di speranze.

Il problema maggiore era che non aveva un appoggio: era solo e, in caso di emergenza, nessuno l’avrebbe potuto aiutare.

Quando calò la sera, arrivò anche la paura: la paura primordiale dell’ignoto, del silenzio, del buio più assoluto, della solitudine.

Ad un certo punto il campanello trillò brevemente, poi tacque.

Per quella prima notte non ci fu altro.

Nella tarda mattinata successiva, non avendo avuto altre mangiate, smontò il tutto e tornò alla camera che aveva affittato per concedersi un po’ di riposo: era stanco, era deluso, era conscio del fatto che, probabilmente, era stato presuntuoso a pensare di improvvisarsi pescatore di carpe giganti senza le necessarie esperienza e attrezzatura.

D’altronde la casa era pagata, così come il traghetto e l’attrezzatura, quindi tanto valeva ritentare ancora per tutta la settimana.

Ebbe, è vero, anche la tentazione di andare in un altro luogo sul fiume a pescare pesci “normali”, ma a che pro? Quelli li avrebbe potuti prendere al suo laghetto nelle settimane successive.

Almeno una volta nella vita uno deve osare o avrà sprecato la vita vedendo gli altri viverla in vece sua.

La seconda notte ci furono un paio di abboccate e null’altro.

La terza agganciò e catturò una carpa di circa quattro chili, almeno stando alla bilancia che gli aveva regalato Gigi.

Non la fotografò neppure: la macchina fotografica digitale, posizionata sull’autoscatto, giaceva da tre giorni inutilizzata sul cavalletto.

Fu la quarta notte che, assorto nell’ascolto del piccolo lettore MP3 che gli faceva compagnia, gli sembrò di sentire un trillo più lungo.

Si strappò gli auricolari dalle orecchie e stette in ascolto; il campanello trillò di nuovo, allora, lentamente, lo tolse dal cimino, onde evitare che lo intralciasse nel recupero.

Slegò anche la canna, attento a non muoverla e a non insospettire così il pesce che stava gironzolando intorno alla sua esca.

La lampadina che portava legata sulla fronte illuminava il cimino della canna: d’un tratto questi si piegò all’improvviso e con violenza.

Toni ferrò prontamente e la sentì: la sua esperienza gli diceva che quella bestia era della taglia, perlomeno, del “re”.

Il guadino era pronto, poggiato su un secondo reggicanna.

Diede filo al suo avversario, affinché perdesse la prima fase del proprio vigore, poi iniziò il lento recupero, fatto di tira e molla.

Il cuore gli faceva un “tum – tum” assordante, era buio fondo, lui era solo, aveva paura, ma era felice, comunque fosse finita, eccola: era arrivata, era lei, l’adrenalina…!

Con l’amo che aveva montato sulla lenza il pesce non poteva slamarsi, col filo che aveva sul mulinello, non poteva strappare; forse ci sarebbe voluta tutta la notte, forse anche la mattinata successiva, ma stavolta, alla fine, lui avrebbe avuto ragione del gigante.

Andava bene così, non c’era fretta: d’altronde l’importante non è ciò che provi alla fine di una corsa, ma quello che provi mentre corri.

 
1 Commento

Pubblicato da su settembre 30, 2011 in racconti pesca

 

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Una risposta a “BIG!

  1. Fishing gear and supplies

    Maggio 31, 2014 at 6:21 am

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